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Le opere in mostra a Cremona e a New York

Disegni in mostra

Lo spiccato naturalismo di Leonardo e la sua capacità di permeare la successiva produzione artistica lombarda sono evidenziati in mostra da uno straordinario gruppo di quattro disegni del grande maestro, provenienti dalla Royal Library del Castello di Windsor: quattro studi di piante per la preparazione della Leda con cigno, testimonianza pregnante di quel naturalismo su base empirica che è parte fondamentale della sua prodigiosa eredità.

E poi opere notevolissime di quella generazione di artisti lombardi che, tanto nel disegno quanto nella pittura, seguirono la rotta tracciata dal maestro. Dai disegni e dipinti di Cesare da Sesto - tra cui un sorprendente studio di albero, evidentemente eseguito guardando un esemplare reale - a quelli di Giovanni da Udine e di Giovanni Antonio Boltraffio: in particolare uno Studio di panneggio proveniente da Oxford - ritenuto da Linda Wolk-Simon preparatorio del panneggio del vestito della Madonna Litta - un olio raffigurante una Fanciulla con ciliege, di proprietà del Metropolitan Museum of Art di New York, attribuito a Giovanni de Predis, ma forse di mano proprio del Boltraffio, e ancora uno Studio di testa di donna realizzato a gessetti neri e colorati, che è il suo primo disegno eseguito con questa tecnica introdotta in Lombardia alla fine del '400; fino ai dipinti di Bernardino Luini (splendida la Maddalena proveniente dalla National Gallery of Art di Washington, così come la poco nota tela di San Sebastiano da collezione privata newyorkese) e di Andrea Solario. Interessante in mostra anche una accattivante sequenza di disegni con scene di genere, prodotti dal pittore lombardo Polidoro da Caravaggio, che a Roma operò nella bottega di Raffaello: affascinanti per freschezza ed immediatezza, sono un testamento visivo del retaggio lombardo.

Nella seconda, ricchissima sezione della mostra spiccano alcuni prestiti importanti: tra i dipinti di Lorenzo Lotto, anch'egli momento chiave di questo percorso, va per esempio ricordato il famoso Ritratto di uomo con cappello di feltro, proveniente dalla National Gallery di Ottawa in Canada, che lo ha acquistato nel 1998 o il Cristo Portacroce dal Louvre di Parigi; di Savoldo la straordinaria Crocifissione, prestata dalla Maison d'Art di Montecarlo e correttamente attribuita all'artista bresciano solo nel 1999; ma anche il famosissimo Pastore con flauto conservato al J. Paul Getty Museum di Los Angeles.

Ancora importanti lavori di Moroni da prestigiose collezioni private e la sua penetrante Badessa Lucrezia Agliardi Vertova dal Metropolitan Museum, e poi Moretto, Calisto Piazza, e Previtali (straordinaria e da tanti anni non più visibile la Trinità esposta in quest'occasione), in un alternarsi di opere che spaziano tra tutti i generi, dimostrando come l'attenzione e l'interesse verso la natura si sia manifestato nell'arte lombarda attraverso tendenze diversificate: l'osservazione della realtà, l'interesse per la rappresentazione dal vivo e l'uso empirico della luce, la presenza di una pittura religiosa fondata sulla realtà umile, lo scambio tra lingua e dialetto e lo sviluppo del ritratto non idealizzato, la natura morta e la pittura di genere.

Anche gli artisti che operarono in Lombardia nei decenni precedenti, contemporanei e immediatamente successivi al breve periodo di attività del Caravaggio (terza sezione della mostra), mantennero vivi i germi di questa tradizione che esploderà nella Roma manierista con Michelangelo Merisi, il quale, avviando una rivoluzione epocale, dichiarerà esplicitamente di riconoscere come sola maestra la natura.
Ecco dunque i lavori di Sofonisba Anguissola di cui lo stesso Vasari riconosceva e ammirava il realismo e della quale a Cremona si può ora ammirare anche un eccezionale Autoritratto in miniatura proveniente dal Museum of Fine Arts di Boston; ecco le opere del cremonese Vincenzo Campi popolate di fruttivendoli, cuoche e popolani; ecco Annibale Carracci, che getta prima ancora di Caravaggio i semi della rivoluzione naturalistica.

La più esplicita testimonianza della vitalità della koiné naturalistica lombarda nel corso del Seicento è testimoniata, nell'ultima sezione della mostra, dalle opere soprattutto di Carlo Ceresa e del conterraneo Baschenis, che in comune hanno il medesimo atteggiamento di fedeltà all'osservazione del reale e di resistenza alle mode culturali; mentre il Settecento vede portare avanti, seppure in pieno illuminismo, le istanze del realismo lombardo soprattutto da due autori: Vittore Ghislandi, alias Fra' Galgario, che con sguardo lucido e disincantato, libero da pregiudizi e da encomiastiche idealizzazioni, osserva e giudica la propria epoca, e Giacomo Ceruti, con la sua umanità dolente così diversa dalle figure di poveri e viandanti divulgate dai Bamboccianti o dalle incisioni d'oltralpe del secolo precedente. Non c'è astrazione e tipizzazione: la potenza del dettato naturalistico e l'infallibilità del dato ottico-percettivo oltre che l'assenza di ogni facile sentimentalismo fanno la differenza, dimostrando ancora una volta che i pittori lombardi "imitavano la natura ancora di più" delle altre scuole di pittura in Italia.

Articolo Curato da Ufficio Comunicazione e Pubbliche Relazioni APIC

Ultimo aggiornamento: 17/10/2005 (16:51)

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